
INFORMAUTISMO N° 9 - ANNO 2004, settembre-dicembre
C'è posta per teRitalin e Autismo
Volevo sapere quale è la posizione di Autismo Italia per quanto riguarda l'uso di un farmaco ormai introvabile in Italia ma che in America ed in Europa sembra essere di grande consumo specialmente tra la popolazione più giovane che presenta problemi di iperattività e deficit di attenzione.
Parlo del "Ritalin" della cui esistenza sono venuta a conoscenza recentemente poichè sembra avere una grande efficacia su alcuni bambini ADHD fino al punto che alcuni genitori a turno intraprendono dei viaggi all'estero per procurarsene.
Chiedo il vostro parere poichè dalle prime indagini effettuate sui siti internet, i giudizi espressi su questo farmaco sono fortemente negativi e preoccupanti da una parte mentre alcuni ne sostengono vivacemente la causa. Io non ho ancora iniziato una terapia farmacologica per mio figlio, autistico di 8 anni, ma vorrei essere preparata quando arriverà il momento di intraprendere anche questa strada ed infine essere rassicurata da teorie scientifiche affidabili e collaudate, come riconoscerle?
Vi ringrazio di cuore. G.T., Roma
Gentile G. T,
Autismo Italia non ha posizioni sul Ritalin in particolare, se non i principi espressi nella posizione sui farmaci e sul trattamento dell'Autismo in generale.
Infatti il problema non è se somministrare il Ritalin o no, ma se esistano le condizioni per integrare in una presa in carico individualizzata il farmaco eventualmente indicato nel singolo caso, con un follow-up continuativo e coerente.
Purtroppo alla maggior parte delle famiglie in Italia quello che manca è proprio quella rete di servizi e quella continuità di programmi che rappresenta l'unica strategia davvero vincente nell'Autismo. Per tornare al Ritalin, o meglio al metil-fenidato, che è il composto stimolante attivo nei bambini con ADHD e, sebbene in misura minore, anche nell'Autismo, questo farmaco ha in una parte dei casi dimostrato un effetto sulla iperattività e il deficit di attenzione.
Il metilfenidato è stato largamente abusato in passato come farmaco anoressizzante, per questo è così difficile da reperire. Non dovrebbe esserlo però per i centri ospedalieri che hanno ufficialmente in carico patologie di questo tipo, anche se non si può (non più) trovarlo liberamente in farmacia. Anche nel caso dell’autismo il Ritalin, benché si sia dimostrato utile per ridurre l’iperattività in una percentuale di bambini con ADHA o Autismo, non si può prescrivere senza un attento e regolare monitoraggio da parte di una struttura sanitaria, perché ha anche mostrato una certa incidenza di effetti collaterali indesiderati.
Bisogna poi tenere sempre a mente che non esistono attualmente farmaci che curano i sintomi di base dell'Autismo (cioè i deficit di interazione sociale e di comunicazione) ma solo farmaci che possono aiutare a migliorare sintomi secondari (come, appunto, l'iperattività), cioè farmaci sintomatici. In questo caso, la decisione di prescrivere un farmaco deve derivare sempre da un bilancio fra gli effetti positivi misurabili oggettivamente e gli effetti negativi, che tutti i farmaci, in misura maggiore o minore, presentano.
I farmaci sono strumenti a disposizione del clinico, che non devono comunque essere prescritti per ovviare alla mancanza o all'insufficienza di programmi psico-educativi, o di personale per realizzarli, (non, ad esempio, per tenerlo buono a scuola), ma esclusivamente nell'interesse del paziente.
UNIVERSITA‚ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”
Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione Gentili Collaboratori, La scomparsa della Prof.ssa Luigia Camaioni ci ha lasciato un immenso vuoto, non solo per la collaborazione scientifica e l'amicizia che ci legava a lei, ma anche per la gestione del programma di ricerca dal titolo "Il gesto di indicare nell'identificazione precoce dei Disturbi dello Spettro Autistico" finanziato dal MIUR (Prot. 2003113081_001), di cui era Respon-sabile e Coordinatore Scientifico. Prof. Paola Perucchini Il programma procede come previsto e la prima somministrazione del questionario ai soggetti potrà continuare nei mesi di settembre e di ottobre. Pertanto Vi preghiamo di segnalarci eventuali nuovi casi e di indicarci se Vi sono necessarie ulteriori copie del questionario. |
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il carteggio fra la Dott.ssa Anna M.Kozarzewska Bigazzi, vicepresidente di Autismo Firenze, e la dott.ssa Raffaella Tancredi Responsabile Centro di riferimento “Autismo e Disturbi Pervasivi dello Sviluppo”, IRCCS Stella Maris , Pisa
Lettera aperta alla dottoressa Raffaella Tancredi
Responsabile Centro di riferimento “Autismo e Disturbi Pervasivi dello Sviluppo”, IRCCS Stella Maris Pisa
Gentile Dottoressa Tancredi,
Il 23 ottobre scorso, insieme ad altri genitori dell’associazione Autismo Firenze, ho assistito al convegno “Autismo: lettura del cervello e della mente”, organizzato dal dottor Sandro Domenichetti, il responsabile dell’Unità Funzionale Salute Mentale dell’ASL fiorentina.
Non voglio entrare nel merito dei contenuti del convegno, anche se la prima parte incentrata sulle diatribe teoriche tra le varie scuole di pensiero era lontana anni luce dai veri problemi dell’autismo con i quali, noi genitori, dobbiamo misurasi nella vita di tutti i giorni.
Vorrei invece soffermarmi su alcune Sue affermazioni. Lei ha usato espressioni dure ed offensive nei confronti delle associazioni dei genitori, definendole “bande” ed ha mostrato un atteggiamento di disprezzo nei confronti degli specialisti che da “queste bande” si farebbero “influenzare”.
Le faccio presente che nell’ultimo documento NIMH dell’aprile 2004 si afferma che “il coinvolgimento della famiglia è un fattore fondamentale per il successo del trattamento” e si ’invitano i genitori di “raccogliere tutte le informazioni sulle opzioni disponibili”, prima di prendere una decisione sul trattamento del bambino.
Siamo, infatti, noi genitori, che conosciamo meglio di chiunque altro i nostri figli, che li amiamo e accudiamo, e che dobbiamo costruire loro un futuro. Diventiamo, per necessità, “esperti dei propri figli” e come tali, dobbiamo essere ascoltati.
Capisco che per gli “esperti veri” ascoltarci può talvolta essere difficile. Possiamo essere noiosi, suscettibili, talvolta insopportabili, ma chi, come Lei, ha scelto di essere medico e per di più un neuropsichiatra infantile che s’occupa di una patologia così devastante come autismo, dovrebbe rispettare i principi deontologici e non manifestare pubblicamente intolleranza e disprezzo nei confronti di chi ritiene più opportuno seguire per proprio figlio un percorso diverso da quello indicato da Lei.
Vorrei infine farle presente quanto segue: per sottolineare la propria competenza in materia dell’autismo Lei ha ripetuto più volte “i bambini autistici io ormai li macino…”.
Non lo dica, suona male e urta la nostra sensibilità di genitori. Sarebbe molto più rassicurante sentire una frase come “mi prendo cura di tanti bambini autistici..”.
Con rispetto
Anna M.Kozarzewska Bigazzi
vicepresidente Autismo Firenze
Gentile dottoressa Bigazzi,
desidero risponderle prima di tutto per scusarmi con lei e con chi altri si fosse sentito offeso dalle mie parole nel convegno del 23 ottobre a Firenze. Purtroppo quando si parla nei convegni si può essere fraintesi, soprattutto quando bisogna rimanere in tempi stretti.
E’ stato un peccato che lei non abbia potuto esprimere il suo rammarico nella sede del convegno, questo mi avrebbe consentito di spiegarmi meglio. Probabilmente lei non ha trovato il modo in quella sede di inserirsi nella discussione, che è stata in effetti piuttosto sterile, e ha dovuto ricorrere alla formula della “lettera aperta” sul sito Internet dell’Associazione Autismo Toscana.
Tra l’altro se lei avesse potuto esprimersi in quella sede, forse questo avrebbe aperto una discussione più vicina alle vostre esigenze di genitori. Avrei preferito tuttavia che lei si assicurasse che di questa lettera aperta io fossi informata, per mettermi nella condizione di replicare.
Non mi preoccupo tanto del danno alla mia immagine, che pure potrebbe derivare da una mia mancata replica, quanto del disorientamento che si potrebbe produrre nelle famiglie che dal mio lavoro si sentono sostenute. Per fortuna della lettera sono stata informata da una collega che collabora attivamente con le associazioni dei genitori, che era presente al convegno e che evidentemente non si è sentita offesa dalle mie parole.
A proposito dell’andamento generale del convegno devo precisare che io sono stata invitata dalla dr.ssa Bigozzi, che ha suggerito poi il mio nome al Dr. Domenichetti, per parlare in quella sede su un argomento specifico, che era appunto quello dell’apporto del pensiero psicoanalitico alla conoscenza e alla cura dell’autismo. A questa richiesta io mi sono attenuta, se mi fosse stato richiesto di trattare un argomento diverso l’avrei fatto.
Non sapevo nemmeno che all’incontro fossero presenti dei genitori, considerando il livello molto teorico della cosa avrei immaginato di no. Dico questo perché ho evidentemente usato la parola “banda” nell’accezione in cui viene usata nell’ambito del linguaggio, o se preferisce, del gergo psicodinamico, non certo nell’accezione tipica del linguaggio comune. Qualunque gruppo di persone che si incontra per affrontare un problema nella realtà si propone di funzionare come “gruppo di lavoro”, ma qualunque gruppo è soggetto in certi momenti a funzionare in modo irrazionale, perlopiù sotto la spinta di emozioni dolorose
Questo è quello che penso, rifacendomi ad una teoria psicodinamica sui gruppi, teoria che ovviamente non è affatto obbligatorio condividere. Il funzionare secondo una logica di “banda” (nel mio testo scritto la parola è fra virgolette, proprio perché non mi riferivo al senso comune con cui la parola viene usata) è qualcosa che riguarda tutti i gruppi, comprese le società scientifiche o i gruppi istituzionali. Uno dei meccanismi irrazionali che può saltare fuori è quello di trovarsi uniti per “attaccare” più che per costruire qualcosa.
Ma ripeto che questo avviene , sempre secondo il mio parere, sotto la spinta di emozioni dolorose. Nel caso specifico parlavo del senso di colpa dei genitori, che è qualcosa di molto diverso dalla colpa. Come professionista, ma anche come genitore, so che qualunque cosa non vada bene nei figli viene di solito sentito profondamente e irrazionalmente come una colpa, e penso che il mio compito come professionista sia anche quello di affrontare con i genitori questo sentimento. Certamente alcuni colleghi non hanno fatto altro che rafforzare questi sentimenti di colpa, perché veramente sono convinti che i genitori siano responsabili.
Non è il mio caso, e infatti nella stessa sede ho anche detto a chiare lettere: ”…credo che non ci sia nulla nella mente di una mamma che possa spiegarci l’autismo del suo bambino…”. Inoltre il mio riferimento ai colleghi che si uniscono ai gruppi di genitori non era assolutamente espressione di disprezzo, ma di desiderio di capire e pensavo che fosse chiaro che non mi riferivo in modo generico al fatto di avere contatti con associazioni di genitori, anch’io ne ho infatti, ma mi riferivo al ritrovarsi insieme solo “contro” che qualche volta si verifica.
Certo avrei potuto dirlo in modo più elegante. Sono profondamente convinta della necessità di coinvolgere attivamente la famiglia nella diagnosi e nel trattamento, così come sull’opportunità che i genitori siano informati sulle varie opzioni e che, come gruppo, partecipino attivamente alle decisioni sulle politiche assistenziali. Personalmente prospetto sempre ai genitori che mi consultano e che sono alla prima diagnosi, la possibilità di sentire altri specialisti.
Anzi dico esplicitamente che io farei la stessa cosa se mi trovassi in una situazione simile. Però li invito caldamente a diffidare di chi proponesse loro le sue idee, qualunque esse siano, come se fossero la verità rivelata.
Il contesto in cui io lavoro mi permette in realtà di seguire direttamente e da vicino solo pochi bambini. Il mio riferimento al “macinare” bambini non era pertanto espressione del desiderio di sottolineare la mia presunta competenza nell’autismo, ma al contrario piuttosto espressione del mio sentirmi incapace, proprio perché lavoro ai ritmi serrati di un ospedale, di affrontare sempre le cose come vorrei. Mi spiace moltissimo che questa mia espressione sia suonata offensiva, questo era veramente fuori dalle mie intenzioni.
Non credo di averla mai incontrata personalmente né di aver visto il suo bambino. Spero perciò che il suo pensare che i genitori possono risultare “noiosi, suscettibili, insopportabili” non sia frutto di una esperienza diretta con me, perché questo mi risulterebbe veramente imperdonabile.
Nel salutarla approfitto dell’occasione per ringraziarla della sua traduzione del manuale di Linda Hodgon , che ho ricevuto in omaggio e che certamente prenderò in considerazione fra gli strumenti che possono aiutare le persone con autismo.
Raffaella Tancredi
© Autismo Italia onlus