
INFORMAUTISMO N° 9 - ANNO 2004, settembre-dicembre
Che cosa non funziona: la Comunicazione Facilitata(di Anna Bigazzi)
a comunicazione facilitata è stata introdotta in Australia negli anni settanta da Rosemary Crossley. La tecnica doveva aiutare a comunicare i soggetti con paralisi cerebrale e disabilità fisiche.
Nel 1989, Douglas Biklen ha iniziato negli Stati Uniti ad usare la CF con persone autistiche. Secondo Smith (1996) “la Comunicazione Facilitata (Biklen 1993) è fondata sull’ipotesi che le persone affette dall’autismo, oppure da altri disturbi dello sviluppo presentano un deficit motorio che impedisce loro di esprimersi perfino quando possiedono una comprensione sofisticata del linguaggio parlato e scritto. Per superare questo ipotetico problema i facilitatori adeguatamente formati (professionisti e non professionisti che hanno frequentato un workshop sul trattamento) tengono le mani, i polsi o le braccia delle persone per aiutarle a comporre dei messaggi con ’ausilio della tastiera.
Secondo le relazioni, le persone, considerate in precedenza prive di un linguaggio comunicativo, dopo aver preso parte alla Comunicazione Facilitata, iniziavano a comporre poesie, rivelare i propri pensieri e sentimenti, eccellere nei compiti scolastici e manifestare molte altre abilità linguistiche piuttosto complesse”.
Esiste un po’ di confusione tra i termini “comunicazione faci-litata” e “comunicazione aumentativa”, oppure “comunicazione aumentativa e alternativa” (CAA). La Comunicazione Facilitata si basa sulla premessa che i soggetti autistici possiedono una “capacità nascosta di leggere e di scrivere” (Biklen 1990). “E’ una tecnica dove il facilitatore tocca la mano, il braccio oppure la spalla della persona affetta da deficit comunicativo mentre essa, congiuntamente, indica i simboli, le lettere o le parole… La CF non deve essere confusa con l’uso appropriato di una guida manuale o di altri propmpt che vengono utilizzati per insegnare la comunicazione ed altre abilità. Inoltre, non dovrebbe essere confusa con l’uso indipendente dei sistemi comunicativi non verbali, come tabelle con lettere, tastiere ed altri sistemi dei simboli”. (ABA, 1995)
Discussione
Biklen ed i suoi collaboratori hanno contribuito alla maggior parte degli articoli che supportano l’uso della Comunicazione Facilitata con i bambini autistici. Biklen ipotizza che le persone affette dall’autismo o da disturbi dello sviluppo, una volta capaci di comunicare attraverso l’uso della CF, sono in grado di mostrare un livello di abilità intellettuali normale, o addirittura alto. Biklen stima che il 90% dei bambini con autismo saranno capaci di comunicare con l’uso della CF (Biklen,1990, 1992; Biklen & Schubert,1991; Biklen ed altri, 1991; Biklen ed altri 1992; Biklen, 1993. Queste ricerche si basano su metodologie qualitative e comprendono molte relazioni aneddotiche su interventi conclusisi con successo. Nessuna di queste ricerche è stata, tuttavia riconosciuta come scientificamente valida.
Molte ricerche importanti hanno cercato di replicare a questa scoperta di Biklen e dei suoi collaboratori. Secondo Eberlin ed altri, (1993) “Fino ad oggi tutte le pubblicazioni in base alle quali si sostiene che l’uso della CF è in grado di rivelare le abilità inattese di lettura e scrittura si basano su ricerche incontrollate o scarsamente controllate”. Lo studio della documentazione prodotta dal MASDEC porta alle stesse conclusioni: non vi si trova, infatti, una sola ricerca scientifica che confermi che la Comunicazione Facilitata attivi una comunicazione indipendente originata dalla persone con autismo.
Sono state usate molte procedure per indagare sull’efficacia della CF. L’uso di un sostegno meccanico, in sostituzione del braccio del facilitatore, ha dimostrato che i soggetti autistici, senza la presenza del facilitatore in persona, erano incapaci di rispondere in modo indipendente ad un numero statisticamen-te rilevante di domande (Kezuka,1997). Questa procedura non è stata sufficientemente testata, perché i sostenitori della CF obbiettano che la presenza del facilitatore dia il senso di sicurezza e induce il soggetto ad avere fiducia nelle proprie capacità e, proprio questa è una condizione indispensabile per la comunicazione (Biklen, 1990).
Alcuni ricercatori hanno usato le condizioni di blind testing . In questi studi i facilitatori non conoscevano le domande che venivano poste al soggetto, non avevano alcune informazioni sui test, oppure erano isolati dagli stimoli visivi diretti al soggetto (Bebko ed altr,1996; Braman ed atri, 1995; Hirshom & Gregory,1995; Simpson & Myles,1994). Tutti questi studi hanno dato un risultato convergente: il soggetto era incapace di rispondere correttamente alla maggior parte delle domande delle quali il facilitatore. ignorava il contenuto. Uno degli studi controllati ha appurato che soltanto in 77 delle 720 interazioni comunicative sconosciute al facilitatore il soggetto è stato capace di recepire correttamente l’informazione (Sheehan & Matuozzi,1996).
UTENTE FACILITATORE
Kezuka ha condotto la ricerca sui movimenti ideomotori del facilitatore analizzando, fotogramma dopo fotogramma (30 fotogrammi al secondo), una registrazione video del soggetto facilitato. L’esame ha rivelato che il soggetto compie molti movimenti rapidi verso i numerosi tasti, omettendo sistematicamente quelli giusti, prima di soffermarsi su di essi. Il soggetto ha mostrato delle difficoltà a lavorare con un facilitatore con il quale non aveva avuto contatti recenti, ed era incapace di comunicare con l’aiuto di facilitatori sconosciuti.
Questo studio, secondo i ricercatori, suggerisce l’esistenza di movimenti motori inconsci del facilitatore. Sono stati notati inoltre numerosi segnali visivi. La ricerca di Kezuka fa pensare che il soggetto riceva dei suggerimenti inconsci molto sottili da parte del faciltatore e che, grazie a questi, riesca a ritornare sul tasto giusto. Kezuka sostiene che questa relazione tra il facilitatore ed il soggetto sia una forma efficace di condizionamento. Ogni volta che il soggetto risponde correttamente il facilitatore lo elogia e, quindi, rinforza il comportamento. Il soggetto entra in grande sintonia con i movimenti motori del facilitatore e, nel comunicare, dipende totalmente da questi. D’altra parte il facilitatore, inconsapevole di questi movimenti ideomotori, è incoraggiato dall’abiltà di comunicare dimostrata dal soggetto. Kezuka conclude che: “Il contatto fisico non svolge il ruolo di un supporto emotivo e neppure quello di un supporto fisico, esercita invece la funzione di un controllo motorio” (Kezuka, 1997).
Molti professionisti invitano alla cautela nell’uso della CF. Moore ed altri(1993) scrivono: “Il problema di chiarire le origini dei messaggi prodotti con l’ausilio della CF è molto importante. In primo luogo, dal punto di vista etico, è assolutamente essenziale che la comunicazione venga attribuita alla fonte giusta. Questo è molto importante per l’intera popolazione, ma in particolare per le persone disabili, meno capaci di correg-gere un errore d’attribuzione di questo genere. In secondo luogo, se i fornitori dei servizi sono chiamati ad offrire al soggetto il miglior intervento personalizzato possibile, una conoscenza accurata delle capacità comunicative delle persone disabili è indispensabile. Infine, la natura estrema del contenuto di alcuni messaggi può dare origine a gravi errori giudiziari, dovuti ad un’attribuzione errata della comunica-zione”.
Secondo Smith “gravi errori giudiziari possono verificarsi”, un “noto investigatore” ha stimato ad esempio, che il 25% dei bambini normodotati siano vittime di molestie e che l’incidenza delle molestie nei confronti dei bambini autistici sia “oltre quattro volte superiore” (quindi il “noto investigatore” afferma che oltre il 100% dei bambini autistici siano vittime di molestie). Smith continua: “sebbene una simile gaffe matematica possa anche essere divertente, i risvolti nella vita reale non lo sono affatto: le accuse di molestie provenivano spesso dalla Comunicazione Facilitata ed erano rivolte ai genitori. Queste accuse, quasi sempre, risultavano infondate e quindi, come era prevedibile, il bambino non poteva essere considerato il loro artefice. In alcuni casi, in seguito ad accuse di questo genere, i bambini sono stati, tuttavia, separati dai genitori per tutta la durata dell’inchiesta. In alcuni paesi le famiglie ingiustamente accusate hanno speso migliaia di dollari per difendersi e hanno subito un trauma incommensurabile”. (Smith,1996)
Bligh e Kupperman per conto del tribunale hanno condotto un’inchiesta sulla validità delle accuse di abusi sessuali fatte da una bimba di 10 anni tramite la CF. Al termine dell’inchiesta i due giudici si sono trovati d’accordo nel ritenere che le accuse provenivano dal facilitatore e non dalla bambina. E’ stato inoltre riferito che, a causa delle accuse, la bambina ha passato fuori casa un lungo periodo e che sia lei, che tutta la famiglia sono rimaste profondamente provate dallo stress e dall’angoscia provocata da questa esperienza (Bligh e Kupperman,1993).
Bligh e Kupperman traggono da questo caso alcune considerazioni e pongono alcune domande:
- Il personale scolastico può essere ritenuto responsabile d’aver utilizzato tecniche sperimentali, prive di basi scientifiche, che hanno causato danni finanziari ed emotivi molto gravi alla famiglia?
- Poiché l’uso di questa tecnica ha privato la bambina di un’educazione appropriata è possibile ritenere che siano stati violati i suoi diritti? (Bligh e Kupperman, 1993)
La documentazione raccolta e la ricerca empirica non confermano l’efficacia della comunicazione facilitata. E’ altrettanto importante che la ricerca adduca delle prove valide sul potenziale di nocività da essa contenuto.
I ricercatori possono continuare ad indagare, utilizzando protocolli di ricerca e prestando un’attenzione particolare per proteggere i soggetti e le loro famiglie da possibili danni.
L’uso della comunicazione facilitata non è raccomandato ai professionisti”.
COMUNICAZIONE FACILITATA : CHE COSA NE PENSANO LE ORGANIZZAZIONI SCIENTIFICHE INTERNAZIONALI American Psychological Association: American Academy of Child and Adolescent Psychiatry: “La CF è una tecnica per gli individui affetti da autismo oppure da ritardo mentale, priva di una convalida scientifica. In particolare, le informazioni ottenute tramite la CF non dovrebbero essere usate per confermare o smentire affermazioni sugli abusi e non dovrebbero influire sulle decisioni diagnostiche e terapeutiche.” (1994) American Speech – Language – Hearing Association: “La comunicazione facilitata può avere delle conseguenze negative nel caso in cui precluda l’applicazione di un trattamento efficace ed appropriato sostituendosi ad altre forme di comunicazione, oppure qualora porti a delle affermazioni false e inconsistenti su abusi sessuali o maltrattamenti”. (1994) American Association on Mental Retardation: Association for Behavior Analysis: |
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Dal sito del Ministero della Salute NEGATA L’ESISTENZA DI UN NESSO DI CAUSALITÀ TRA VACCINAZIONE TRIVALENTE ED AUTISMO Lo studio ha preso in considerazione 1294 casi, concernenti soggetti nati a partire dal 1973, ai quali, tra il 1987 e il 2001, erano stati diagnosticati disordini pervasivi dello sviluppo (PDDs) e 4469 controlli, non affetti da PDDs, di pari caratteristiche per età sesso e stato di salute complessivo. I dati della ricerca sono stati attinti dall’UK general practice research database (GPRD), il più grande archivio computerizzato di records longitudinali anonimi esistente nel mondo. Dallo studio è emerso che il 78% (1010/1294) dei casi con diagnosi di PDDs aveva ricevuto il vaccino trivalente, mentre lo stesso vaccino era stato somministrato anche all’82 % dei controlli (3671/4469) non affetti da disordini pervasivi dello sviluppo. Risultati analoghi sono stati ottenuti anche restringendo la ricerca ai bambini con diagnosi di autismo ed a quelli vaccinati prima del compimento del terzo anno di età sui dati presenti, un ampio database informatico contenente i records delle vaccinazioni e delle diagnosi di autismo ed altri. Lo studio è stato pubblicato da The Lancet dell’11 settembre |
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