
INFORMAUTISMO N° 4 - ANNO 2003, gennaio - aprile
ETICA DELLA FARMACOTERAPIA NELL’AUTISMO(di Donata Vivanti)
E' opportuno somministrare farmaci alle persone con autismo?
E’ giusto contenerne il comportamento in una “camicia di forza” farmacologica o, all’opposto, negare a priori ad un bambino, ad una persona, la possibilità, attraverso l’azione del farmaco, di lenire le proprie sofferenze e sentirsi soggettivamente meglio?
Molti genitori si pongono queste domande, soprattutto se il farmaco viene prescritto in età infantile.
Perché in generale la funzione cerebrale viene, in parte a ragione, identificata con la personalità stessa dell’individuo, e si teme che uno psicofarmaco possa cambiarne l’essenza.
Poi perché i farmaci che agiscono sul funzionamento del cervello spaventano per l’eventualità di procurare a lungo termine danni irreparabili sulle funzioni mentali.
Il loro funzionamento non è intuitivo per chi non possiede competenze specifiche in materia, e del resto basta leggere il foglietto illustrativo (il famigerato “bugiardino”) per rendersi conto di quanto ad una azione ne corrispondano altre non desiderate, se non addirittura antitetiche. E talvolta i bambini con autismo non rispondono agli psicofarmaci come ci si aspetterebbe.
Non bisogna poi dimenticare che gli psicofarmaci vengono spesso somministrati per sedare o per migliorare il comportamento.
Questo aspetto suscita facilmente nei genitori sensi di colpa, come se il loro bambino dovesse subire una costrizione, pur farmacologica, a causa della loro incapacità a gestire il suo comportamento e ad aiutarlo a crescere. E’ quindi logico che i genitori, che del bambino hanno la responsabilità, oppongano una certa resistenza all’uso di psicofarmaci.
All’opposto, capita purtroppo abbastanza spesso che la famiglia venga sottoposta a pressioni da parte di insegnanti o educatori affiinchè faccia richiesta allo specialista di prescrivere psicofarmaci al figlio per ovviare ad un comportamento difficile da gestire a scuola o in comunità.
Paradossalmente, gli stessi genitori che rifiutano gli psicofarmaci nel bambino, li accettano, o addirittura li sollecitano, per l’adulto, mentre logica (ed etica) vorrebbero che lo scopo della terapia farmacologica non fosse di sedare in mancanza di altre soluzioni o di speranze di miglioramento, ma di favorire un decorso più favorevole in età evolutiva.
Farmaci sì o no, allora?
Una risposta univoca, valida per tutti i casi, non esiste.
Naturalmente il problema non si pone nel caso di farmaci che agiscono su disturbi neurologici specifici o aspecifici, come l’epilessia. Ma la somministrazione di farmaci che agiscono, o dovrebbero agire, sul comportamento, implica aspetti etici particolarmente delicati. E la necessità di esprimere una posizione più chiara possibile per aiutare i genitori a decidere.
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