
INFORMAUTISMO N° 11 - ANNO 2005, maggio-agosto
Autismo in famiglia: se occhio vede, cuore non duole...(di Donata Vivanti)
L'uomo è un animale sociale, si dice. Ma non nell’ autismo.
Proprio l’incapacità di comprendere il contesto sociale e di adeguarvi il proprio comportamento è la caratteristica più tipica dell’autismo, comune a tutti i disturbi dello spettro, a tutti i livelli di funzionamento e a tutte le età.
Allo stesso tempo, è la disabilità sociale che interferisce maggiormente con la qualità di vita del bambino ( e dell’adulto) e della famiglia. A cominciare dall’apparente rifiuto di coccole e consolazione nella prima infanzia, con tutto il carico di angoscia, frustrazione e senso di inadeguatezza che ne derivano per i genitori, per continuare con l’aggressività, l’autolesionismo o le crisi di ansia che il bambino o l’adulto con autismo spesso manifestano quando vengono inseriti in contesti sociali come la scuola materna, la scuola, l’ambiente di lavoro o dovunque si venga a contatto con interazioni sociali complesse.
I genitori conoscono bene le crisi di comportamento che possono scatenarsi in ogni luogo e momento: al supermercato, per la strada, ad una festicciola di coetanei, ad una riunione di famiglia. E conoscono bene anche le reazioni e i commenti della gente ignara del problema ( “Se fosse figlio mio… saprei io come educarlo…”).
Migliorare le capacità sociali delle persone con autismo rappresenta una priorità e al tempo stesso un’ardua sfida, perché, se la disabilità sociale rappresenta l’aspetto che maggiormente compromette la qualità di vita della persona autistica e della sua famiglia, costituisce anche il nucleo, il nocciolo stesso della sindrome.
Grazie alle capacità sociali innate, i bambini a sviluppo tipico imparano spontaneamente durante il processo di crescita le abilità funzionali ad una vita quotidiana personale e relazionale soddisfacente, semplicemente attraverso l’osservazione e l’imitazione del comportamento dei genitori prima, di insegnanti e coetanei poi, e, in età adolescenziale e adulta, di modelli in qualche modo motivanti alle cui azioni ispirarsi.
Questo non accade alle persone con autismo, che non sono in grado di trarre dalla vita quotidiana le informazioni e gli apprendimenti utili a sviluppare un comportamento “adattivo” adeguato. Come i genitori sanno, i bambini con autismo bisogna insegnare tutto, ma proprio tutto, anche le azioni più banali, come vestirsi, usare la toilette o lavarsi i denti.
Simolare l’apprendimento sociale nell’autismo.
Attualmente presso i centri di ricerca più avanzati sono allo studio programmi di stimolazione precoce dell’interazione sociale da applicare ai bambini con autismo in tenera età. Questi programmi hanno l’ambizioso obiettivo di orientare in modo radicalmente diverso lo sviluppo sociale del bambino con autismo, di “guarire” il nucleo stesso della disabilità autistica, nella speranza che il cervello in età infantile precoce sia ancora dotato di una plasticità sufficiente a modificare il proprio funzionamento, e che sia possibile in questo modo
agire preventivamente anche sulla cascata di menomazioni che il deficit sociale comporta.
Esistono già attualmente alcuni tipi di programmi che enfatizzano lo sviluppo di abilità di interazione sociale, come il Relationship Development Intervention (RDI) e il Floor Time.
Il programma FloorTime di Stanley Greenspan è una strategia per insegnare ai bambini con disturbi dello sviluppo a sviluppare la relazione interpersonale e la comunicazione attraverso il gioco. a partire dalle sue attività preferite. Per esempio, se al bambino piace sbattere una macchinina sul pavimento, durante una sessione di Floor Time il genitore o l’operatore lo seguono in questo gioco cercando di sviluppare in questo contesto un’interazione e la comunicazione, e ne prendono spunto per insegnare schemi di gioco via via più complessi.
L’ RDI (Relationship Development Intervention, Intervento sullo Sviluppo della Relazione) è un trattamento sviluppato da Steven Gutstein e Rachelle Sheely, che viene messo in pratica dai genitori e si focalizza sui problemi di base dell’autismo, come l’empatia e il desiderio di condividere esperienze personali con gli altri.
Purtroppo questi programmi sono assai poco codificati, non si sa a quanti e quali casi possano davvero giovare, e non ne esistono studi controllati a dimostrazione della loro efficacia né tanto meno prove oggettive che siano in grado di modificare radicalmente lo sviluppo cerebrale del bambino con autismo orientandolo verso la “normalità”. Per questi motivi sono difficilmente accessibili (e non solo in Italia).
I programmi ABA
Altri programmi, non meno complessi, si applicano più pragmaticamente alle conseguenze dell’autismo, cioè alle manifestazioni comportamentali che derivano dal disturbo sociale
di base. I programmi ABA quindi non affrontano direttamente il deficit primario dell’autismo, ma le sue conseguenze, il comportamento, che si propongono di modificare fino a farlo
potenzialmente coincidere con un comportamento "normale. Non mirano a “guarire” potenzialmente il bambino dall’autismo, modificando il funzionamento del cervello e il nucleo centrale della disabilità autistica, ma più pragmaticamente a “compensare” le manifestazioni comportamentali che ne conseguono.
I bambini con autismo possono essere inconsapevoli di quale sia il comportamento appropriato nelle diverse situazioni della vita quotidiana, L’ABA rappresenta un modo chiaro e concreto per apprendere icomportamenti adeguati. L’ABA è un approccio educativo basato sulla premessa che i bambini con autismo possono apprendere, anche se più lentamente dei coetanei, il comportamento, il linguaggio, le abilità scolastiche e funzionali. Queste abilità possono quindi essere insegnate anche ai bambini con autismo attraverso l’applicazione sistematica e intensiva di strategie di Analisi Applicata del Comportamento (Applied Behaviour STRONG>Analysis, appunto).
Esistono diversi programmi ABA , fra cui il più noto è il Discrete Trial Instruction (DTI), nel quale le competenze da apprendere, dal contatto oculare all’imitazione, alle materie scolastiche, al linguaggio, vengono suddivise in piccoli compiti e insegnate in sessioni di lavoro individuali "discrete" (ovvero separate), iniziando da competenze semplici per passare a capacità più complesse man mano che il bambino le apprende e le padroneggia. Altri programmi ABA prevedono un insegnamento più “naturalistico”, in cui vengono predisposte molteplici opportunità di apprendere una certa abilità in un contesto di vita quotidiana. I comportamenti corretti vengono rinforzati ( cioè premiati) con gratificazioni tangibili ( un giocattolo, un’attività piacevole per il bambino) e sociali ( un sorriso, una lode).
Alcuni ritengono a torto che ABA sia sinonimo di metodo Lovaas, ovvero del metodo elaborato negli anni ’60 da Ivar Lovaas, ricercatore del Dipartimento di psicologia all’UCLA (University of California – Los Angeles) .Nel 1987 Lovaas pubblicò uno studio pilota che mostrava come circa la metà (19 bambini) dei bambini in età prescolare sottoposti ad un intervento comportamentale intensivo di 40 ore alla settimana in rapporto terapeutico 1:1 avevano conseguito un comportamento “normale”, mentre nessuno dei bambini trattati allo stesso modo per 10 ore alla settimana aveva conseguito lo stesso risultato. Molti altri studi sono stati pubblicati in seguito, ma nessuno abbastanza rigoroso e su una popolazione abbastanza consistente da fornire prove definitive di efficacia. (vedi Informautismo n ° 7).
Inoltre i programmi ABA richiedono personale altamente qualificato, non sempre disponibile, diagnosi precocis e affidabili, e di conseguenza una organizzazione rigorosa ed efficiente dei servizi e un ingente investimento di risorse umane e finanziarie che non tutte le amministrazioni sono in grado di (o disposte a) mettere a disposizione. Per questi motivi anche i programmi ABA non sono facilmente disponibili, né in Italia né altrove. Negli Stati Uniti, dove sono relativamente diffusi, i costi ne sono comunque normalmente sostenuti dalle famiglie.
Il programma TEACCH.
TEACCH ( Treatment and Education of Autistic Children and Communication Handicap) è un programma meno intensivo dell’ABA, e quindi relativamente più facile da realizzare, sviluppato
presso l’Università della Carolina del Nord.
Come nel caso dell’ABA, si tratta di una programma educativo, basato sull’adattamento dell’ambiente e sulla visualizzazione delle informazioni, cioè su strategie educative che sfruttano il punto di forza delle persone con autismo, le capacità visuospaziali, per favorire l’apprendimento.
L’adattamento dell’ambiente supporta l’apprendimento a prescindere dalle capacità di linguaggio verbale, che normalmente viene utilizzato in ogni processo di insegnamento, ma che costituisce un punto debole nell’autismo. Attraverso l’adattamento ambientale vengono fornite informazioni che la persona con autismo può comprendere più facilmente utilizzando invece un suo punto di forza, le abilità visuo-spaziali.
L’adattamento dell’ambiente non è esclusivo del programma TEACCH, viene utilizzato in molti programmi educativi, quali il programma SPELL della National Autistic Society (Inghilterra, vedi Informautismo n. 10) e il programma SCERTS ( USA, vedi Informautismo n. 9).
Adattare l’ambiene non significa solo “strutturare” un angolo di lavoro o una sequenza di attività, ma predisporlo alla comprensione delle persone con disturbo autistico. Per esempio, anche un paio di scarpe con chiusura a velcro costituisce un adattamento ambientale utile a favorire l’autonomia personale di un bambino che non possiede l’abilità di allacciare le stringhe.
Lo scopo dell’adattamento ambientale è di dare informazioni comprensibili alla persona con autismo su dove, quando e come si svolge un’attività o un compito, di facilitare la transizione fra un’attività e l’altra, una capacità spesso compromessa nell’autismo, di favorire l’autonomia nelle attività quotidiana e di mitigare i problemi di comportamento derivanti dalla mancanza di chiarezza e prevedibilità dell’ambiente..
Adattare lo spazio
L’adattamento dello spazio si realizza attraverso una strutturazione dell’ambiente educativo e di vita che spiega alla persona con autismo dove si svolge un’attività: dove si mangia, dove si dorme, dove lavarsi, dove vestirsi e svestirsi, dove si gioca, e indirettamente gli dà informazioni su quale comportamento ci aspettiamo da lui in un certo luogo. Strutturare lo spazio significa essenzialmente riservare un singolo luogo (una stanza, un angolo, un tavolo, una scrivania…) ad una ed una sola attività, in modo che il bambino possa associarli e comprendere il comportamento che, in quel luogo, ci si aspetta da lui.
Strutturare un angolo di lavoro.
L’incapacità di focalizzare e mantenere l’attenzione sul compito è presumibilmente alla base anche delle difficoltà di apprendimento. Ricerche recenti hanno dimostrato che i bambini con autismo, pur possedendo gli strumenti per riconoscere e decodificare il linguagio verbale, a differenza dei loro coetanei a sviluppo tipico, sono incapaci di applicare la propria attenzione a questo "compito” abbastanza a lungo per farlo (vedi pag.21).
L’adattamento dello spazio si può applicare anche all’organizzazione di un spazio dove sia più facile prestare attenzione al compito da imparare, riparato dall’eccesso di stimoli ambientali, da rumori, da una luce troppo forte, da stimoli visivi disturbanti, o da una visuale completa dell’ ambiente, che può generare confusione.
Un esempio di questo tipo di adattamento è l’ “angolo di lavoro individuale” utilizzato per favorire l’apprendimento di nuove abilità o per apprendere a svolgere compiti già appresi in autonomia nell’ambito del programma TEACCH o di altri programmi educativi specifici per l’autismo.
Strutturare il tempo.
La strutturazione del tempo consente di dare una risposta comprensibile alla persona con autismo alle domande: “Che cosa faccio adesso? Che cosa faccio dopo? Con chi ?”
Si realizza attraverso la strutturazione di un’”agenda” di immagini significative delle attività che si susseguono nel tempo, un “orologio” visivo che rende prevedibile quello che succederà. Sappiamo che l’autismo si combina frequentemente con disabilità intellettiva anche grave. Alcuni bambini hanno un’età di sviluppo così giovane che non sono in grado di decodificare il significato simbolico di un’immagine o di una fotografia. Per loro può essere necessario utilizzare sequenze di oggetti significativi delle diverse attività. Per altri, dotati di un livello di sviluppo più maturo e di capcità intellettive più sviluppate, le immagini possono essere sostituite da parole scritte.
La strutturazione del tempo richiede strategie più complesse e conoscenze approfondite sul livello di sviluppo e la capacità individuali. Preparare una sequenza di parole scritte, di immagini o di oggetti che simboleggiano le attività non garantisce che le informazioni date siano comprensibili a tutte le persone con autismo.
E’ necessario assicurarsi che i simboli utilizzati siano significativi per il bambino, che la sequenza abbia per lui un senso, e che la sua attenzione sia effettivamente rivolta all’agenda, e sufficiente a gestire una sequenza di informazioni. In certi casi, sarà necessario costruire agende molto brevi, di poche attività, o addirittura fornire le informazioni temporali una alla volta. Per essere comprensibile e utile, insomma, la strutturazione temporale deve basarsi sulla valutazione individuale delle effettiva capacità di comprensione simbolica e di focalizzare e mantenere l’attenzione attraverso strumenti standardizzati di valutazione funzionale.
Quali programmi per l’autismo si realizzano in Italia ?
Benchè negli ultimi anni, grazie soprattutto all’impegno delle associazioni di genitori nell’organizzare corsi di formazione e nel sollecitare le amministrazioni a mettere a disposizione servizi adeguati, si sia visto qualche miglioramento e una certa diffusione, seppure a “macchia di leopardo”, di strategie educative ispirate al programma TEACCH, il panorama generale che si offre alle famiglie delle persone con autismo di ogni età in cerca di aiuto è francamente desolante.
L’inerzia dei servizi, i pregiudizi sui programmi di tipo comportamentale o cognitivo-comportamentale, la scarsa considerazione di cui godono gli utenti dei servizi nel nostro paese, il risparmio come unico criterio decisionale delle amministrazioni pubbliche, fanno sì che la scelta generale sia di tagliare sempre più le risorse dedicate ai cittadini più deboli. E se i servizi sanitari possono a ragione vantare oggi una migliore capacità di diagnosi, troppo spesso non si rendono conto che investire risorse esclusivamente sulla diagnosi, senza nulla organizzare per il trattamento al di fuori di qualche oretta di psicomotricità o di logopedia alla settimana o di una letterina di vaghe raccomandazioni per la scuola (nei casi più fortunati), non rappresenta un progresso per la qualità di vita delle famiglie.
Anzi, una diagnosi che non sia seguita da un trattamento tempestivo, alla famiglia, e di riflesso al bambino, fa più male che bene. Al danno si unisce la beffa.
Che cosa dovrebbe o potrebbe fare una famiglia, in queste condizioni di abbandono, se non quello che già fa, cioè cercare disperatamente servizi lontanissimi da casa che poi non sono in grado di seguire effettivamente il bambino, o rivolgersi a Università e centri esteri che poi, se sono seri, li rispediscono a casa con la raccomandazione di farsi seguire ne proprio paese, o, se non lo sono, vendono il loro “prodotto” a caro prezzo e a chi se lo può permettere, senza dare alcuna garanzia del risultato o della continuità della presa in carico.
Così molte famiglie spendono inutilmente assai più di quanto costerebbe al servizio di zona inviare del personale a formarsi su quegli stessi approcci e metterli in pratica.
Che cosa può fare la famiglia ?
In questa deplorevole mancanza di servizi e di competenze, una famiglia che non abbia i mezzi per pagarsi un intervento o che desideri continuare a condurre una vita sociale “normale” senza sobbarcarsi un ruolo riabilitativo a tempo pieno sacrificando tutto all’autismo, non ha che l’alternativa di ispirarsi ai principi delle strategie di trattamento più affidabili e meno gravose per la vita familiare, e di applicarli alle diverse circostanze della vita quotidiana, pur senza pretendere di affrontare da sola un percorso d’intervento.
Per esempio, può prefiggersi l’obiettivo di riservare giornalmente un certo tempo, inizialmente molto breve, poi gradualmente più lungo, a proporre giochi semplici, gratificanti per il bambino e divertente per entrambi, cercando di condividere i suoi stati emotivi (prima di aspettarsi che il bambino possa condividere quelli del genitore).
Può cercare di migliorarne il comportamento nella vita quotidiana adottando coerenza e fermezza su ciò che si può o non si può fare, affrontando solo aspetti prioritari e concentrandosi su una capacità alla volta, senza dimenticare di lodarlo o premiarlo per ogni cosa giusta o per ogni tentativo di collaborazione, in modo che il bilancio fra lodi e richiami all’ordine sia sempre positivo.
Può strutturare l’ambiente domestico evitando di usare gli stessi spazi per attività diverse. Può rendere più comprensibile la comunicazione verbale usando poche, semplici parole, supportate da oggetti immagini o gesti significativi. Può cercare di migliorare il comportamento del bambino nell’anbiente sociale comunicandogli in modo comprensibile che cosa sta per accadere o accadrà.
Adattare l’ambiente per favorire un comportamento sociale adeguato
Se strutturare lo spazio domestico per favorire l’autonomia personale e mitigare le crisi comportamentali nella vita quotidiana può essere intuitivo e relativamente semplice anche per i familiari, utilizzare i principi dell’adattamento ambientale per favorire un comportamento adeguato in situazioni sociali complesse o poco familiari, che generano ansia e, di conseguenza, reazioni problematiche, può essere molto più difficile. Eppure la prospettiva di dover affrontare una situazione imprevedibile può amgosciare tutta la famiglia, con il risultato di ingigantire l’ansia e le reazioni del bambino. In questi casi, informarne il bambino in modo comprensibile è una priorità.
Nel documento seguente riportiamo un esempio di informazione visuale che può aiutare a mitigare l’ansia del bambino in vista di una visita medica o un test psicologico. Non è una ricetta valida per tutti e comprensibile a tutti, ma può dare un’idea su come spiegare ad bambino con autismo in modo chiaro e “ordinato” quello che gli accadrà, rendendo prevedibile l’imprevisto e aiutandolo ad affrontare la situazione senza troppa angoscia.
NOTA: Questo articolo e' disponibile anche in formato PDF

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