
INFORMAUTISMO N° 3 - ANNO 2002, settembre-dicembre
SCUOLA ED ALUNNO CON AUTISMO(di Patrizia e Tiziano Gabrielli)
Come un ritornello assai poco gioioso eccoci in autunno con il problema “scuola e autismo”.
Si sentono e si leggono articoli riguardanti nomine, insegnati di sostegno, cattedre, certificazioni, ecc., in realtà dovremmo occuparci di Marco, Alessia, Simone, a scuola e non in generale di leggi, di bambini con autismo o di pedagogia, psicopedagogia, ecc.
Alcune riflessioni a proposito meritano perciò attenzione e dibattito.
C’è fra tutti noi cittadini e soprattutto noi genitori di bambini con autismo, una forte apprensione e contemporaneamente speranza e grandi attese relativamente alla qualità della vita e alle prospettive educative che i bambini e i ragazzi autistici sperimenteranno all’interno di un contesto altamente specifico come è la scuola.
La scuola, seconda soltanto alla famiglia come luogo di vita, non solo in senso temporale, è certamente un momento fondamentale per il ragazzo, la famiglia e la società.
La scuola è anche per ora la sola realtà “istituzionale” che, nel bene e nel male, si è fatta carico del problema “autismo”, ed inoltre, è anche quella che quotidianamente impatta, in modo diretto e continuato, con le difficoltà vere del singolo bambino certificato, investendo attenzione e risorse nella gestione di un processo, quello della integrazione, mai troppo chiarito, i cui traguardi e le cui metodologie sono state dalla scuola stessa più inventate che apprese e applicate.
Al suo interno, la scuola ha consentito, ad insegnanti, alunni e bambini con disabilità, una esperienza reciproca e spesso, a tale istituzione, è stato attribuito e ingiustamente richiesto, un impegno eccedente finalità e possibilità intrinseche.
Spesso si è confuso il suo ruolo pedagogico e sociale, con il percorso riabilitativo vero e proprio di molte disabilità.
Molti insegnati si sono distinti in questa sfida con stupefacenti adattamenti e ottimi risultati ma molti sono anche gli errori, molti i silenzi, le ingiustizie, le intolleranze, le discriminazioni, i muri di gomma...
La scuola è un diritto e un dovere
La scuola è la vita, la vita di ogni uomo nella collettività, al di là della sua condizione, del suo stato di salute, della sua specificità, della sua eventuale non abilità, o disabilità. Il soggetto è nella scuola come “individuo”, non come “normo-dotato” o “autistico”, o “audioleso”, ecc.
La scuola mette in relazione persone differenti che si scambiano informazioni, su di sé, sugli altri e sulle cose e nessuna etichetta, nessuna caratteristica, peculiarità, origine, religione, diagnosi, dovrebbe modificare in senso negativo o deprivativo tale scambio.
In questa ottica la legge 104 del 1992 prevede la scolarizzazione di tutti i minori in situazione di handicap, bambini con autismo compresi. Altre norme ancora sono state emanate per assicurare questo diritto e sarebbe bene conoscerle per potersi sorprendere nel vedere come questo obiettivo risulti tuttavia così difficoltoso.
Scolarizzare non significa semplicemente “accesso”.
La scolarizzazione non si riduce all’accesso, all’inserimento in una classe ma produce, quale elemento nobile e qualificante, integrazione, come percorso che dalla aspecificità delle finalità di gruppo e delle formule di principio, mediante un insieme di adattamenti reciproci, guidati dai docenti, giunga all’individualità degli alunni, consentendo loro delle esperienze significative, sia nell’apprendere che nel socializzare.
Cosa assolutamente dobbiamo pretendere dalla scuola?
Enoi in particolare, genitori di soggetti con autismo, stabilito “cosa possiamo pretendere”,potremo anche chiedere “Realizza la scuola ciò che è corretto pretendere?”, ed eventualmente “Perché non lo può fare?”
Dimensioni del problema
Per legittimare simili quesiti sarebbe importante dimensionare a livello nazionale il fenomeno autismo e sindromi correlate, comprendendo all’interno di questo eterogeneo gruppo, a causa delle diverse classificazioni utilizzate dai vari professionisti relativamente a tali diagnosi, anche i casi di psicosi infantile.
Le dimensioni del problema ci potrebbero far capire meglio come ci dobbiamo organizzare per pretendere risposte sempre più qualificate e specifiche.
I bambini diagnosticati autistici o psicotici nelle scuole pubbliche d’Italia, in base ai dati dei provveditorati agli studi (oggi C.S.A.), dati ricavati dalle diagnosi ufficiali rilasciate dai Servizi Sanitari, relativi all’anno 2001-2002, cioè nell’anno scolastico passato, riferiscono un numero di casi complessivo di circa 8062 alunni così certificati, e cioè 140 casi circa per milione di abitanti; 64/milione con autismo, 75/milione con diagnosi di psicosi infantile .
Attenzione: questi sono i dati relativi agli alunni disabili certificati rispettivamente, autistici o psicotici, presenti nelle scuole in Italia in un preciso periodo di tempo e non i dati riferiti alla totalità dei casi presenti sul territorio nazionale.
Come potete vedere i valori numerici rispettivi, autistici, psicotici, sono pressochè sovrapponibili, paritetici in partenza (scuole materne), divengono disomogenei successivamente a causa dei ritiri, poiché, con il passare degli anni, i bambini autistici scolarizzati diminuiscono in modo significativo. Fortunatamente i bambini con diagnosi di psicosi mantengono una forte presenza anche nella scuola secondaria. Questo dato ci dice però che le cose vanno particolarmente male per i soggetti con autismo. Non è infatti il migliorare della diagnosi che li fa scomparire dalle aule ma piuttosto oggettive difficoltà nell’integrazione.
E’ solamente l’andamento della sindrome autistica che può giustificare la negatività di questi riscontri? Noi genitori non lo crediamo.
DIAGNOSI DI AUTISMO E PSICOSI INFANTILE (dati CSA 2001-2002)
Diagnosi di Autismo:
- Scuola materna: 21 / milione di abitanti (1220 studenti certificati autistici)
- Scuola elementare: 22 / milione di abitanti (1276 studenti certificati autistici)
- Scuola media: 15 / milione di abitanti (870 studenti certificati autistici)
- Scuola secondaria superiore o II° grado: 7 / milione di abitanti (406 studenti certificati autistici)
Diagnosi di Psicosi infantile:
- Scuola materna: 20 / milione di abitanti (1160 studenti certificati psicotici)
- Scuola elementare: 20 / milione di abitanti (1158 studenti certificati psicotici)
- Scuola media: 19 / milione di abitanti (1102 studenti certificati psicotici)
- Scuola secondaria superiore o II° grado: 16 / milione di abitanti ( 928 studenti certificati psicotici)
I dati mostrano che per l’autismo la scolarizzazione è meno precoce o che forse le diagnosi arrivano un po’ più tardi, o entrambe le cose, rispetto alle psicosi (lieve aumento dei casi nelle scuole elementari). Altre elaborazioni dei dati forniti dal CSA evidenziano anno dopo anno, un incremento costante dei casi, per ambedue le diagnosi, anche se di poche unità per milione, e tale andamento mostra un aumento maggiore a favore delle certificazioni di autismo rispetto a quelle di psicosi infantile in un rapporto pressochè doppio.
Questo starebbe per un aggiustamento dei criteri diagnostici e per una sempre maggior conoscenza dell’autismo, più che per una diminuizione reale della patologia psicotica.
Appare veritiero però che questa fotografia scolastica del problema, pur significativa, offra valori decisamente sottostimati rispetto ai quadri patologici in questione nella loro interezza. Da una parte perché questi dati non comprendono i casi, con PDD e altre patologie, borderline, quelli non ancora certificati, e dall’altra perché il provveditorato non rileva tutti i possibili pazienti o i loro spostamenti e, non ultimo, perchè manca nel conto il numero di chi è istituzionalizzato al di fuori della scuola (orfani o a tutela sospesa), oppure c’era ed è uscito e di chi si aggiungerà a costoro nell’anno appena iniziato. Questi sono i dati da cui noi dobbiamo partire per capire quanta voce in capitolo abbiamo rispetto ai circa 50.000 insegnati di sostegno operanti in Italia e per impegnarci a non rinunciare in alcun modo e per nessuna ragione al profondo valore di scolarizzare.
Integrazione
Esiste anche una profonda differenza tra inserimento e INTEGRAZIONE.
Il presupposto di base, quando si parla di AUTISMO, è comprendere che siamo di fronte ad un disturbo complesso e le risposte possibili saranno dunque complesse. Le situazioni sono molteplici e vanno affrontate, di volta in volta, come problematiche differenti, in un ottica di specificità. I riduzionismi non aiutano a capire la realtà delle persone, perché ne prendono una piccola parte e la fanno diventare il tutto. Consapevoli delle difficoltà insite nella specificità è bene ribadire che noi genitori di alunni diversamente abili sappiamo bene, e lo vogliamo ribadire, che la scuola non è il luogo deputato alla terapia propriamente detta per i disturbi dei nostri figli.
Noi semplicemente vogliamo realizzare ciò che è previsto dalla legge: integrazione.
Vogliamo per i nostri figli esperienze significative, socializzazione, ampliamento delle capacità comunicative e relazionali, apprendimenti seppur minimi, mirati a favorire l’autonomia attraverso competenze e abilità essenziali, dando qualità alla loro esistenza.
Sappiamo anche che, nell’ambito di questo progetto complesso e difficile, tutte le esperienze sono importanti ma questo non significa che tutte siano valide e, secondo il principio della rete, in un’ottica si scambio delle informazioni tra scuole, si dovrebbero socializzare le esperienze prestando ascolto a quelle riconosciute come esemplari e che possano essere utili e a disposizione di tutti.
Non serve compartecipare soluzioni del problema solo se “esaustive o radicali” ma aiutare gli operatori a non sentirsi isolati all’interno della propria azione didattica “in divenire”, aprendo loro un orizzonte di riferimento più vasto.
L’integrazione è qualità di vita in comune ed è un fenomeno sicuramente complesso, i cui obiettivi vanno perseguiti non separatamente tra loro ma sperimentati in un’ottica di globalità. L’integrazione si realizza attraverso una esperienza comune o allargata, quando cioè tutti, operando insieme, si aiutano reciprocamente a migliorare la competenza culturale, relazionale e comunicazionale dei singoli nel gruppo. Non da soli dunque si deve affrontare l’integrazione, tanto meno l’autismo.
Le condizioni essenziali per l’integrazione sono:
- Tutti divengano interpreti di uno stesso progetto, tutti debbono essere coinvolti, non solo l’insegnante di sostegno, ma tutti: il docente e il dirigente, i collaboratori scolastici, la famiglia, i medici, i paramedici, gli alunni, tutti….
- Si deve operare in modo sinergico.
- Ciascuno deve impegnarsi per quanto gli compete, in una connessione stretta e continua con gli altri per fare un lavoro comune. Ciascuno faccia la sua parte e ciascuno si nutra e si rafforzi dell’esperienza integrativa.di tutti gli altri del gruppo e di coloro che sono altrove .
- Integrazione significa anche “responsabilità”. Ciascuno ha la propria.
Sappiamo tutti che per consentire l’integrazione vera, non formale, specialmente dell’alunno con autismo nella scuola e nella società , se vogliamo realmente farci carico di questo, risulta fondamentale ripristinare concetti squisitamente etici, un po’ desueti in questa civiltà patinata ed egocentrica, quello della respon-sabilità personale, di responsabilità attiva, dell’impegno individuale e di gruppo, del dovere morale. Non è affatto vero che noi esistiamo perché qualcuno ci ha generato, la nostra umanità esite perchè un adulto ci ha adottato, cioè si è fatto carico, s’è preso cura, responsabilità, di ciascuno di noi. Dimenticare questo è dimenticare il senso della nostra vita.
“Approccio positivo”
Dal punto di vista psicopedagogico educativo, l’unico approccio corretto per promuovere l’integrazione dei bambini autistici è un “approccio positivo”.
Positività non significa semplicemente che non si debbano più usare modelli di tipo disfunzionale, cioè quelli che partono dal proporre e ricostruire ciò che non funziona bene, ma anche e soprattutto che con questi bambini si deve procedere e costruire a partire dalla loro positività, dai loro interessi, da ciò che loro propongono e manifestano, facendo spazio alla spontaneità nella congruità e rafforzando ciò che è adeguato, spendibile, equiparato all’età, prestando attenzione a gratificare ciò che è armonioso e coerente con la situazione e gli intenti comuni del gruppo, in un cammino di piacere nel fare le cose, di rinforzo dei comportamenti produttivi e funzionali.
Positività significa non lasciarli senza proposte, significa che con questi bambini non si può utilizzare il “no” fine a se stesso, il “no” e basta, il “no” senza soluzioni sostitutive.
A questi bambini va insegnata l’alternativa alla negazione, al divieto, a ciò che non è permesso, alla frustrazione di vedersi negato qualcosa. Questi bambini non possono essere obbligati a un comportamento, a una risposta, né a una socializzazione, né si possono enfatizzare in loro soluzioni abilitative eccessivamente specializzate rinunciando o addirittura soffocando una globalità indispensabile di interventi volti ad un recupero complessivo e ad una non formale integrazione.
La coercizione non aiuta il bambino autistico.
Servono altre strategie, serve formazione, pazienza, tranquillità, disponibilità, anticipazione. Vie che privilegino la positività esistente in loro nelle diverse situazioni, che sfruttino i punti forti presenti nella realtà dell’altro, che richiamino l’impegno di tutti gli operatori nel realizzare un progetto partecipato di vera qualità della vita.
Linee guida fondamentali per avviare l’integrazione dei bambini autistici.
Alla scuola si dovrebbe giungere con requisiti minimi indispensabili già acquisiti dall’alunno certificato:
l’attentività, l’attenzione condivisa, la capacità di scambio e la reciprocità nelle intenzioni, la motricità fine, la comprensione del linguaggio, alcune autonomie di base. Questo non sempre avviene, anzi raramente il bambino autistico è così opportunamente attrezzato, e uno dei primi compiti della scuola, ai vari livelli, è quello di valutare l’esistenza di questi prerequisiti, individuarli, quantificarli e, se assenti o carenti, assicurarsi il permanere in percorsi atti a fornire l’alunno con autismo di queste competenze essenziali.
L’intervento educativo nella scuola dovrebbe favorire:
- l’acquisizione di un linguaggio (in qualunque forma possibile privilegiando quello verbale, non verbale, corporeo, scritto, ecc.).
- lo sviluppo delle capacità percettive e di esplorazione dell’ambiente.
- la promozione di competenze strumentali di base
- la partecipazione attiva alla vita del gruppo classe
- l’avvio alla socializzazione nel gruppo e all’esterno della scuola.
Il successo degli interventi educativi è invece in relazione all’affermarsi delle seguenti variabili:
- Precocità di avvio alla scolarizzazione, (favorire l’inserimento educativo precoce dei bambini autistici già negli asili nido, nelle scuole materne), sempre e solo se gli interventi erogati sono adeguati.
- Competenza di tutti operatori , tutti quelli coinvolti, non solo scolastitci, tutti, dalla sanità, scuola, società, servizi, tutti quelli coinvolti.
L’integrazione si realizza realizzando cultura.
Servono persone molto preparate, sotto il profilo medico, pedagogico, sociale, ecc. Se ci si riferisce ad un soggetto autistico si ha bisogno di insegnanti di sostegno che conoscano benissimo i capisaldi della pedagogia (per esempio le metodiche di Schopler, alcuni metodi di condizionamento operante, metodi di comunicazione aumentativa e alternativa, ecc). Insegnamenti fondamentali.che devono far parte del bagaglio professionale di chi si avvicina all’handicap cognitivo-relazionale e che poi saranno utilizzati e adattati in modo conforme al caso specifico.
- Disponibilità affettivo-comunicativa degli inse-gnanti, che è specifica e di cui bisogna se ne assumano personale e piena responsabilità,
- Fiducia nell’ottenimento degli obiettivi che pertanto debbono essere realistici. Ottimismo nella verità, non piaggeria o entusiasmo da ciarlatani.
- Coinvolgimento forte dei genitori e familiari , che debbono realizzare una continuità di obiettivi e strategie anche in casa.
- Lavoro di rete , di coordinamento e di integrazione degli interventi per mezzo di alleanze positive tra i vari operatori, tra servizi diversi, tra assistenti sociali, medici e insegnanti, tra dirigenti scolastici e responsabili dei servizi socio sanitari.
Mettersi insieme per dare risposte utili. I genitori da soli, la scuola da sola, i medici da soli, possono fare assai poco. L’ottica essenziale è quella delle sinergie tra dimensione clinica, familiare e con l’organizzazione interna della scuola.
L’istituzione scolastica, con l’avvento dell’autonomia didattica, non è più vincolata a un modello permanente di funzionamento e può, di volta in volta, decidere secondo i bisogni degli allievi, quali forme organizzativo-didattiche siano le più funzionali rispetto all’intervento scelto; non c’è più un vincolo, un modello definito da seguire.
L’avvio della devolutioninoltre ridurrà sempre più le competenze del ministero della sanità e della pubblica istruzione facendo emergere nuovi interlocutori per il mondo della scuola: regioni, province, comuni, enti locali, ecc.
La relazione medica deve essere informazione utilizzabile per gli insegnanti e dire loro cosa riconoscere e cosa è meglio fare ed evitare ma soprattutto deve legittimare la forma di intervento pedagogico che verrà poi proposta. L’altro, il bambino autistico non è un esempio di patologia, l’altro, è una persona da conoscere nella sua totalità, nella sua qualità di essere umano e come tale non ha dì per sé obblighi di trasformazione in qualcosa di meglio.
E’ necessario partecipare come genitori, insieme agli altri operatori coinvolti, alla stesura del progetto educativo-pedagogico dei nostri figli, un progetto individualizzato, realistico, effettivo, e che la legge recita come condiviso. Anche l’insegnamento dovrà essere condiviso, esplicito ed intenzionale, senza tempi morti, flessibile ed utile nel metodo e nei tempi. Dovrà avvalersi di un uso proprio dei materiali e di un uso corretto degli spazi, valutando sistematicamente i risultati per correggere gli errori o potenziare i progressi.
Il successo dell’inserimento è correlato alla personalizzazione, non l’autismo, ma Michele, Alessia, il bambino e la sua specificità.
Il successo formativo, non dipende solo dall’insegnate o solo dalle capacità dell’alunno, ma è una co-costruzione che si realizza attraverso l’elaborazione di obiettivi semplici, limitati, graduali, progressivi, attraverso tentativi e aggiustamenti continui degli apprendimenti.
E’ essenziale passare in fretta da una logica individuale, quella che vede tutto il possibile in una sola figura professionale, ad una visione allargata, all’obiettivo comune nello sforzo di tutti. E’ sbagliato pertanto pensare che simile progetto dipenda esclusivamente dall’insegnante di sostegno. Anni di graduatorie ‘non’ di merito hanno mandato al massacro persone innocenti in entrambe le trincee. E’ ormai fondamentale il passaggio concettuale che sostituisca l’insegnante di sostegno, con i “sostegni”, come insieme di strumenti, operatori ed energie, coordinati, legati a precise situazioni contestuali, ai veri operatori protagonisti in quel momento, in quella realtà specifica scolastica e sociale in cui si intende realizzare l’integrazione dei nostri figli. Sono sostegni la comunità, il gruppo sociale e scolastico, il gruppo-classe, il tutoring, i materiali necessari e specifici; sono un sostegno l’uso specifico e alternativo e l’organizzazione degli spazi, la documentazione e i corsi di formazione, gli incontri tra operatori coinvolti, con i medici, con i genitori, i video con valutazioni collettive, periodiche, ecc.
I sostegni sono tanti e chiamano in causa anche altre realtà, anche altri enti, altre istituzioni che ad esempio debbono preoccuparsi di fornire la scuola dei materiali indispensabili alla realizzazione di un percorso integrati.
NOTA: Questo articolo e' disponibile anche in formato PDF

© Autismo Italia onlus