
INFORMAUTISMO N° 5 - ANNO 2003, maggio - agosto
MERCANTI DI SOGNI(di Donata Vivanti)
La Scienza ufficiale riconosce che l'autismo ha una origina neurobiologica
Di conseguenza, i genitori dei bambini con autismo sono naturalmente portati a pensare che ad un disturbo di origine neurobiologica si dovrebbe dare una risposta riabilitativa coerente con la causa del disturbo, come per qualunque altra malattia. Ma poichè le proposte riabilitative, quando esistono, non sembrano corrispondere ad un concetto neurobiologico dell’autismo, i familiari si chiedono come mai un disturbo di origine neurobiologica si deva trattare con un trattamento educativo, e si preoccupano pensando che non si stia facendo tutto il possibile per aiutare i loro bambini.
Ma sapere quali sono le cause di un disturbo non significa automaticamente avere a disposizione la cura: esistono molte malattie di cui si conosce l’origine, ma che non per questo siamo in grado di curare con un trattamento risolutivo. Per di più la conoscenza dell’origine neurobiologica dell’autismo si basa sui dati dell’epidemiologia e della clinica e su evidenze indirette che migliorano la consapevolezza della natura del disturbo, ma che non sono ancora abbastanza approfondite da orientare il trattamento. Sebbene infatti esistano numerosi indizi sulle strutture cerebrali implicate, una o più anomalie cerebrali specifiche responsabili del quadro comportamentale che chiamiamo autismo non sono ancora state identiicate.
Come sappiamo, l’ Autismo di identifica sulla base della presenza contemporanea di tre sintomi, il disturbo della comunicazione, dell’interazione sociale e del pensiero immaginativo, che costituiscono la cosiddetta Triade sintomatologica . Come mai questi tre sintomi distinti si presentano insieme a determinare una sindrome, e qual è il legame con l’origine neurobiologica, cioè la patogenesi, del disturbo autistico?
Per spiegare come uno o più disturbi di tipo organico a livello cerebrale diano origine alla triade di sintomi che caratterizza l’ Autismo, Morton e Frith hanno disegnato un modello, riportato nell’eccellente libro “Autism”, di Francesca Happé (purtroppo mai tradotto in italiano), che descrive i livelli di coinvolgimento dell’Autismo in senso verticale. All’origine, rappresentata da una o più anomalie organiche cerebrali (il primo livello) segue una alterazione funzionale del cervello (il secondo livello ) che dà poi origine ai tre sintomi che osserviamo e che chiamiamo autismo (il terzo livello).
In qualunque disturbo che si manifesti a vari livelli, quanto più un trattamento si indirizza al livello superiore, tanto più ci si aspetta che sia efficace. Se vogliamo curare una malattia infettiva, non possiamo accontentarci di agire sui sintomi, come la febbre, ma indirizziamo il trattamento alla causa della malattia, cioà al virus o al batterio che ne è responsabile. Tuttavia nell’Autismo non siamo ancora in grado di intervenire sulle cause: il primo livello, il livello organico del disturbo, non ci è ancora abbastanza noto da poterlo affrontare direttamente. Questo primo livello rappresenta attualmente un campo di ricerca, e non un settore di conoscenze sufficienti a suggerire un trattamento.
L’anomalia cerebrale, o più probabilmente diverse anomalie cerebrali, di tipo organico, si traducono, ad un secondo livello, in un unico disturbo di tipo cognitivo, che a sua volta dà origine ai tre sintomi dell’autismo. Sulla natura del disturbo cognitivo alla base della triade sintomatologica sono state fatte diverse ipotesi. Una ipotesi additava la mancanza di teoria della mente, cioè l’incapacità di attribuire all’altro pensieri e sentimenti diversi dai propri. Questa anomalia è oggi ritenuta una delle caratteristiche dell’autismo, piuttosto che la base della triade sintomatologica. Un’altra puntava sulla mancanza di coerenza centrale, cioè sull’incapacità di integrare a livello cerebrale le informazioni provenienti dall’esterno in un insieme coerente.
Attualmente le funzioni cognitive maggiormente indiziate come base dei tre sintomi sono il disturbo dell’attenzione e delle percezioni, che si possono identificare nel bambino con autismo in fasi molto precoci della vita.
Anche questo secondo livello - il livello cognitivo - è tuttora area di ricerca. Può suggerire orientamenti terapeutici, ma non il fondamento di un programma terapeutico. Poiché comunque è universalmente accettato che alla base della triade sintomatologica ci sia un disturbo di tipo cognitivo, la logica conseguenza è che il trattamento riabilitativo per l’autismo attualmente deve agire sull’area cognitiva. In altre parole, il trattamento per l’autismo deve poter modificare gli aspetti cognitivi alterati per favorire un miglioramento dei sintomi, e di conseguenza l’adattamento della persona con autismo, e lo può fare attraverso l’apprendimento.
Quindi, allo stato attuale delle conoscenze, un trattamento per l’Autismo coerente con la natura del disturbo deve configurarsi come un trattamento educativo specifico. Ecco perché un disturbo di cui pure si accetta l’origine organica si deve trattare con interventi di tipo educativo.
Ma tutto questo difficilmente viene spiegato chiaramente ai genitori, che di conseguenza talvolta cercano altrove, di loro iniziativa, i trattamenti riabilitativi che non trovano presso i servizi.
Anzi, la colpevolizzazione dei genitori è ancora in auge, e provoca facilmente una reazione di segno opposto, che può facilmente portare i familiari a negare gli aspetti cognitivi e psicologici del disturbo, per concentrarsi su quelli organici.
Dove c’è disperazione, fiorisce purtroppo il mercato delle illusioni, e l’appiglio dell’origine neurobiologica viene spesso utilizzato da mercanti senza scrupoli per vendere interventi inutili, se non dannosi, senza alcuna base teorica fondata né certezza di risutato. Così i più svariati rimedi, approcci e trattamenti, supportati dall’equivoco dell’origine organica e dalla frustrazione di genitori assurdamente colpevolizzati, vengono acquistati a Iscatola chiusa, e si alimentano delle testimonianze di familiari che vedono il bambino “migliorato” in seguito alle cure.
Ma di questi decantati miglioramenti non esiste possibilità di verifica, e cambiamenti positivi del comportamento si possono verificare se il bambino si sente soggettivamente meglio perché è stato banalmente curato per malesseri comuni, che il disturbo della comunicazione impedisce di esprimere. Malesseri che talvolta non vengono neppure indagati dai medici di famiglia, perché ogni problema di comportamento viene attribuito all’autismo.
E’ il caso delle intolleranze alimentari e dei disturbi metabolici e intestinali associati all’autismo, dei quali, malgrado le numerose ricerche nel campo, non si è mai potuto dimostrare un rapporto di causa-effetto con l’autismo.
Oppure i presunti miglioramenti si alimentano semplicemente del fenomeno naturale in persone così vulnerabili, che possono mostrare un miglioramento del comportamento solo per il fatto che percepiscono in famiglia un clima di ottimismo e di fiducia nelle proprie possibilità di migliorare.
Decine di proposte di questo genere sono state in auge e tramontate nel corso degli anni, pronte per essere riesumate quando la memoria storica della loro inutilità è andata perduta.
In nome della cura “organica” dell’Autismo è stato venduto di tutto: dalle vitamine “purificate” da acquistare a caro prezzo all’estero (in realtà identiche a prodotti nostrani in vendita a pochi soldi in qualunque farmacia), alla secretina, ai training uditivi, alle pillole omeopatiche, ai metodi di stimolazione sensoriale.
Anche la Comuncazione Facilitata rientra nel novero dei sogni venduti sul mercato della disperazione, degli interventi inutili basati sull’equivoco. Utilizzata in passato per i disabili motori, questa tecnica di supporto da parte di un “facilitatore” che accompagna la mano, il braccio, la spalla del disabile per aiutarlo a scrivere su una tastiera, è stata applicata anche alle persone con autismo, nell’ ipotesi mai provata che alla base del disturbo ci sia un fenomeno di aprassia ideativa che impedisce di mettere in pratica azioni adeguate.
IL METODO DELACATO Nei primi anni ’70 Carl Delacato, terapista della riabilitazione e psicologo comportamentale dell’équipe di Doman, negli Stati Uniti, intuì l’origine biologica dell’autismo. Sulla base dell’osservazione dei problemi percettivi spesso presenti nell’autismo, e dell’analogia con le stereotipie motorie presenti nei disabili sensoriali, elaborò un “metodo” di riabilitazione neurologica basato su programmi di stimolazione sensoriale. L’idea di base di Delacato era che i disturbi sensoriali, che classificò in “iper”, “ipo” e “rumore bianco”, variamente combinati a livello individuale, siano la base del disturbo autistico, e che attraverso programmi di stimolazioni sensoriali intensive e continuative sia possibile normalizzare le pecrezioni disturbate ed avviare il bambino con autismo ad uno sviluppo “normale”. Il metodo Delacato costituisce il classico esempio di approccio che, partendo da osservazioni corrette e da conoscenze accertate, e assecondando le aspirazioni dei familiari, propone un intervento inefficace basato sull’equivoco. Se è vero che la ricerca attuale si concentra sui disturbi percettivi nell’autismo, non esistono modelli neurologici equivalenti ai fenomeni di ipo e iper sensorialità o di rumore bianco, ipotizzati da Delacato e mai confermati dai risultati della ricerca. Nè è mai stato possibile valutare l’efficacia delle stimolazioni sensoriali nel “riabilitare” le persone con autismo, al di là dell’effetto positivo sul bambino di una routine quotidiana, e sui genitori di sentirsi compresi, seguiti e spesso anche ben consigliati ad affrontare i comportamenti problematici con strategie comportamentali collaudate. |
Secondo questa ipotesi, il disturbo della comunicazione nell’autismo sarebbe solo espressivo, mentre la comunicazione ricettiva - cioè la capacità di comprendere la comunicazione - sarebbe inalterata. Peccato che questa ipotesi sia stata contraddetta dai risultati della ricerca scientifica, che provano esattamente il contrario: nell’autismo le capacità di espressione sono di regola migliori delle capacità di comprensione della comunicazione. Anche la tecnica in sé è stata ampiamente screditata dai risultati dei numerosi esperimenti, che hanno dimostrato inequivocabilmente come nella quasi totalità dei casi gli scritti siano, pur in buona fede, opera del facilitatore, non del facilitato.
Malgrado tutto, le fortune della Comunicazione Facilitata, almeno in Italia, non tramontano, nutrite dal legittimo desiderio dei genitori di difendere, pur nel modo sbagliato, la dignità dei propri figli e il sogno di una “normalità” altrimenti irraggiungibile, e dal dogmatismo miope di opertori superficiali dediti alla ricerca di ricette e scorciatoie più che allo studio, più inclini a ricercare soddisfazioni personali che all’umiltà.
Se lo sfruttamento del dolore a scopo di lucro è da considerare alla stregua di un crimine odioso, anche se non punibile, le famiglie che si lasciano irretire dalle promesse di trattamenti infondati non sono certo da biasimare. Vivere con una persona con autismo può talvolta rappresentare una situazione estrema di disagio e frustrazione, e anche se si sa che non esistono scorciatoie né ricette per affrontare l’autismo, è impensabile stare a guardare senza poter fare nulla per migliorare la condizione del bambino e della famiglia.
La negligenza, l’indifferenza, la mancanza di proposte e di servizi adeguati a garantire una presa in carico in cui versano i nostri figli rappresentano altrettante violazioni dei diritti umani all’educazione e alla salute, che non solo li condannano ad una inutile dipendenza, ma contribuiscono ad arricchire i mercanti di sogni e ad esaurire ogni risorsa della famiglia.
NOTA: Questo articolo e' disponibile anche in formato PDF

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