
INFORMAUTISMO N° 4 - ANNO 2003, gennaio - aprile
DA LEGGERE:
a cura di Ami Klin, Fred R.Volkmar, Sara S. Sparrow
Collana di PSICHIATRIA diretta da Alfonso Troisi: Versione italiana: 2003
ISBN 88-87319-34-0 Versione originale: Klin,Volkmar, Sparrow: Asperger's Syndrome. Guilford Press, New York (2000)
Nel 1943 in America Leo Kanner pubblicava in inglese la prima descrizione dell'autismo suggerendo che la causa di tale sindrome potesse essere individuata nello stile di accudimento non responsivo da parte dei genitori: l'articolo ebbe una vasta risonanza e influenzò l'approccio alla sindrome autistica per almeno tre decenni. Lo stesso anno, in Austria, Hans Asperger scriveva in tedesco un articolo in cui si descrivevano soggetti non dissimili da quelli descritti da Kanner, ma il suo studio conobbe una scarsissima diffusione.
Con grande lucidità e lungimiranza lo scritto di Asperger ipotizzava che le cause della sindrome fossero genetiche, e suggeriva delle ipotesi di intervento che anticipano in modo sbalorditivo le direzioni che la ricerca psicopedagogica ha raggiunto attraverso un faticoso sviluppo solo in tempi recenti. Solo nel 1981 il lavoro di Asperger, grazie alla traduzione di Lorna Wing, fu portato al centro all'attenzione della comunità scientifica e sulla base della descrizione originale dell'autore austriaco fu inserita nel DSM la voce "Sindrome di Asperger".
Da quel momento un fondamentale tema di ricerca e dibattito nel mondo della psichiatria fu la distinzione tra la sindrome descritta da Asperger e quella descritta da Kanner, che pur essendo due voci distinte nel DSM erano spesso sovrapposte nella pratica clinica.
La priorità di chiarire lo statuto nosologico della sindrome di Asperger e la natura della sua relazione con la sindrome autistica è al centro dell'opera pubblicata nel 2000 da Klin, Sparrow e Volkmar dello Yale Child Study Center, tre degli autori che hanno scritto le pagine più significative della storia recente sulla conoscenza dei disturbi pervasivi dello sviluppo. La grande esperienza clinica degli autori e una cultura della ricerca ancorata solidamente ai principi della medicina basata sull’evidenza rendono quest'opera un prezioso strumento di conoscenza per ricercatori, clinici, operatori dei servizi, genitori, e naturalmente per le stesse persone con sindrome di Asperger.
Con esemplare lucidità gli autori prendono in considerazione i diversi temi (dalla definizione diagnostica, al profilo neuropsicologico, alle strategie d'intervento) mettendo in luce i punti fermi e le questioni irrisolte. Molte delle conclusioni a cui giungono gli autori aprono nuove importanti questioni e chiariscono molti aspetti spesso poco chiari per chi lavora con questi soggetti, come la distinzione individuata tra sindrome di Asperger e Autismo ad alto funzionamento, corroborata da solide basi teoriche ed evidenze sperimentali.
Nella consapevolezza che il miglioramento della qualità della vita dei soggetti con disturbi pervasivi dello sviluppo sia intimamente legata allo sviluppo di una cultura condivisa sul tema (che in Italia è ancora carente), ci auguriamo che l'opera di Klin e colleghi conosca una larga e capillare diffusione.
Giacomo Vivanti
"BIZZARRI, ISOLATI, E INTELLIGENTI: Il primo approccio clinico e pedagogico di Hans Asperger”
A cura di Franco Nardocci,
Erickson Editore, 2003.
La Casa Editrice Erickson ha recentemente pubblicato la prima traduzione in italiano dell’articolo di Hans Asperger “Gli psicopatici autistici in età infantile” edito nel 1944 nel volume 117 della rivista tedesca “Archiv fur Psychiatrie und Nervenkrankheiten”. La traduzione è accompagnata da una introduzione di Franco Nardocci di inquadramento del saggio di Asperger nello svolgersi storico culturale del dibattito sull’autismo, dalle considerazioni di Andrea Canevaro, Giuseppe Arduino ed Enrico Micheli, orientate dalle loro specifiche competenze di studiosi dell’educazione e professionisti esperti di autismo; il saggio si conclude con una riflessione condotta da Donata Vivanti, una voce del mondo delle famiglie.
La pubblicazione del saggio di Asperger permette finalmente di conoscere la ricchezza del lavoro clinico condotto dal pediatra e psichiatra austriaco e la complessità del suo approccio clinico; nella sua trattazione Asperger riporta quattro storie cliniche, ma le sue riflessioni e considerazioni scaturiscono da un’ esperienza clinica che nel lontano 1943 lo aveva già condotto a identificare in circa 200 soggetti la sintomatologia da lui definita “psicopatia autistica”. Del resto solo due delle quattro storie cliniche presentate possono far pensare a quella che oggi definiremmo come “sindrome di Asperger”; una terza tratta di un bambino con gravi problemi di apprendimento e la quarta di un minore in cui l’Autore stesso evidenzia un quadro di cerebropatia neonatale.
Ma le quattro storie cliniche presentate da Asperger servono all’Autore per svolgere la trattazione di un complesso quadro sindromico definito “psicopatia autistica” e che corrisponde di fatto a quell’insieme di sintomi e comportamenti che oggi conosciamo come “”autismo”. Colpisce poi che anche Asperger come Kanner, ma del tutto all’insaputa l’uno dell’altro, utilizzi il termine di Bleuler di “autismo” per descrivere quel particolare disturbo del contatto, ma soprattutto stupiscono dello psichiatra austriaco alcune considerazioni poi del tutto confermate dagli studi dei decenni successivi: il rapporto tra autismo e ritardo mentale o la comparsa di sintomatologie autistiche in presenza di patologie cerebrali lesionali (anticipando l’attuale concetto di “spettro” autistico), il fatto che la patologia permanga per tutta la vita (Asperger sottolinea la continuità nel tempo della patologia autistica che non considera specifica solamente dell’età infantile), la segnalazione delle caratteristiche difficoltà delle persone autistiche ad acquisire autonomie, regole e comportamenti sociali adeguati, nonché un adattamento spontaneo all’ambiente.
Un altro aspetto assai singolare è la capacità di Asperger di affrontare, con le sue competenze di pediatra, il tema della comunicazione non verbale nella prima infanzia e della rilevanza della sua funzione nei processi di crescita “relazionale” del bambino.
Altri aspetti del saggio risultano di notevole interesse e di attualità nel tuttora vivace dibattito sulla natura del disturbo autistico: la ferma convinzione di Asperger (sostenuta da considerazioni di diagnosi differenziale di grande attualità) che già nel lontano 1943 sosteneva, con grande convinzione come non vi fosse alcun rapporto, causale, clinico o di decorso, tra la schizofrenia e l’autismo, collocando l’eziologia del disturbo autistico al di fuori di ogni ipotesi “relazionale” e di disturbo precoce del rapporto madre/bambino. L’ approccio clinico e terapeutico di Asperger si struttura in una visione di intervento “globale”, che privilegia valutazioni specifiche ma nel rispetto del contesto complessivo di vita del bambino; le modalità operative si indirizzano anche verso un intervento sulle autonomie e sulle acquisizioni delle abilità sociali e privilegiano i processi di apprendimento e gli approcci di tipo educativo. E’ sorprendente per l’attualità del dibattito sugli interventi educativi e abilitativi nell’autismo, scoprire quanta modernità si possa ritrovare nella lettura dell’intervento definito di “pedagogia curativa” che Asperger aveva allestito e sostenuto nella Clinica Pediatrica dell’Università di Vienna.
Dalla lettura del saggio di Asperger si ha anche però una sensazione di “perdita”: la perdita cioè di un lavoro di alto valore scientifico che non si è potuto conoscere, di cui si avevano informazioni settoriali e imprecise. Il ritardo nella diffusione di questo lavoro nel mondo scientifico (ad esempio la sua traduzione in lingua inglese di Uta Frith è del 1991 mentre i riferimenti a questo saggio che porteranno poi vari Autori anglo-americani alla definizione di Sindrome di Asperger cominciano a comparire nella letteratura internazionale già dai primi degli anni 70), ha indubbiamente condizionato in senso negativo la crescita delle conoscenze sull’autismo proprio in anni in cui le teorie “relazionali” dell’autismo si affermavano in modo del tutto egemone e acritico. Questa forma di oscuramento del lavoro di Asperger ha probabilmente favorito i gravi ritardi scientifici con cui si è giunti alla comprensione della vera natura del disturbo autistico, e non ha purtroppo permesso di contrastare, come espressione di un pensiero scientifico “fuori dal coro”, quei ritardi con il loro strascico di sofferenze inflitte alle madri e ai loro bambini che paiono non avere eguali nella storia della psichiatria.
Franco Nardocci
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