
INFORMAUTISMO N° 2 - ANNO 2002, maggio-agosto
AUTISMO E ADOLESCENZA.PARADOSSI NORMATIVI.
Autismo e adolescenza
"Abbiamo un figlio autistico di 15 anni che in questo periodo ci sta mettendo a dura prova. E’ molto iperattivo, ha sbalzi di umore frequenti durante il giorno, se non viene assecondato rischia di innervosirsi con atteggiamenti autolesionistici. Sappiamo bene che gli adolescenti con autismo sono soggetti a questi cambiamenti ciclici di umore, calma-agitazione, ma in questi ultimi mesi non si riesce ad appianare la situazione. Vorremmo qualche suggerimento in proposito. Volevamo inoltre segnalarci che ci è stato suggerito di trattarlo con Catapresan cerotto ( dose minima), in farmaco anti-ipertensivo che agirebbe sul sistema simpatico in maniera positiva per i problemi dell’autismo.
Piero e Paola"
Cari Piero e Paola,
è molto difficile dare risposte per problemi individuali.§
Effettivamente a 15 anni molti adolescenti autistici manifestano per la prima volta problemi di autoaggessività o un aggravamento di problemi preesistenti, proprio come il vostro ragazzo.
Questi episodi sono spesso dovuti alla mancanza di risposte corrette alle aumentate esigenze di opportunità di instaurare relazioni sociali, di comunicare bisogni più complessi e articolati, e di impegni e svaghi adeguati all’ età. Non sempre il comportamento delle persone con autismo peggiora nell’adolescenza.
Gli adolescenti che già dall’infanzia hanno seguito un programma educativo funzionale all’autonomia e acquisito la capacità di impegnarsi in attività adeguate spesso nell’adolescenza si mostrano addirittura più collaboranti e motivati ad apprendere e ad instaurare relazioni sociali di quanto non fossero da bambini.
Dare consigli sull’uso di farmaci a distanza e senza conoscere il ragazzo è ovviamente impossibile.
La Clonidina secondo quanto se ne sa dalla letteratura scientifica, sembra avere una certa efficacia in alcuni casi (non in tutti) di autismo, ma non risulta avere una particolare efficacia nel controllo dell’ autoaggressività. La somministrazione nella forma in cerotto permette di ottenere livelli ematici costanti evitando picchi di concentrazione nel sangue.
Solo un medico esperto che conosce approfonditamente il ragazzo e l’uso dei farmaci nell’autismo può decidere se sia il caso di aiutarlo, almeno temporaneamente, a superare il periodo difficile. Non bisogna comunque dimenticare che i problemi di comportamento non sono disturbi primari dell'autismo, ma sono conseguenti ad una situazione di frustrazione in assenza di una presa in carico, di una educazione permanente e di occasioni di svago e tempo libero adeguate, e naturalmente delle difficoltà di comunicazione dei bisogni primari, e di comprensione del linguaggio, della comunicazione non verbale e delle interazioni sociali.
Qualunque tipo di intervento, in primis l’intervento farmacologico, dovrebbe essere programmato esclusivamente nell’interesse del paziente.
Cercare di far stare calme le persone autistiche in momenti di crisi è una buona motivazione per un intervento farmaco- logico; cercare di sedarli per evitare reazioni più che legittime conseguenti alla mancanza di proposte adeguate al disturbo e all'età non è eticamente accettabile, anche se purtroppo spesso resta la sola proposta immediatamente a disposizione delle famiglie.
Anche se mi rendo conto di quanto sia difficile ottenere risposte adeguate, non posso che ribadire che purtroppo non esistono scorciatoie, nemmeno farmacologiche, per ovviare ai problemi di comportamento nell'autismo.
Paradosso normativo su permessi per assistenza a disabili gravi
"Gentile direzione nazionale AUTISMO ITALIA
sono fratello di un giovane autistico (22 anni), disabile in situazione di gravità. Non mi dilungo sulle quotidiane imprese che vive la mia famiglia per la continua assistenza che mio fratello richiede....
Faccio riferimento ai permessi lavorativi previsti dalla vigente normativa in materia. In particolare le circolari INPS 133/2000 e 138/2001 (che aggiorna la precedente) riassumono la casistica prevista dalle norme per beneficiare dei permessi in questione.
Desidero evidenziare una situazione normativa che sembrerebbe stridente e paradossale, per effetto della differenza che procura in materia di assistenza ai disabili gravi.
Nel caso di lavoratore convivente con il disabile in situazione di gravità, la norma vigente gli riconoscerebbe la possibilità di fruire di permessi (3 gg mensili) per l'assistenza del figlio (l.104/92), anche in considerazione della presenza del coniuge non lavoratore (casalinga) e, anzi, tale possibilità permane anche nel caso vi fossero altri soggetti conviventi nella famiglia in grado di contribuire all'assistenza per il disabile (es. altri figli maggiorenni non lavoratori). In altri termini non viene richiesto di dimostrare l'esclusività nell'assistenza al figlio handicappato. (circ. INPS 138 del 2001).
Paradossalmente e con pregiudizio per il livello assistenziale del disabile, il decesso del genitore lavoratore prima accennato non consente la fruibilità di tale diritto, da parte di uno dei fratelli lavoratori conviventi col disabile, malgrado non vi siano neanche altri soggetti conviventi in grado apportare assistenza (perché tutti lavoratori), a parte la madre che rimane pertanto l'unica figura sulla quale si concentrano le incombenze quotidiane dell'assistenza.
In sostanza, un evento che pregiudichi già di per sé il livello dell'assistenza al disabile nell'ambito familiare (come il decesso di chi poteva prestare assistenza fruendo dei permessi) non risulta compensato da trasferimenti del diritto, bensì comporta la perdita del beneficio, in ultima analisi, per il disabile stesso.
Enzo C. - Foggia" .
NOTA: Questo articolo e' disponibile anche in formato PDF

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